venerdì 16 dicembre 2016

BONAVENTURA LICHERI

BONAVENTURA LICHERI.

Pubblico nel mio blog, l'introduzione storica "LA SARDEGNA E NEONELI: INQUADRAMENTO STORICO DEL PERIODO SPAGNOLO E PIEMONTESE", che è stata pubblicata nell'opuscolo "BONAVENTURA LICHERI. RACCONTATO DALLE FONTI ARCHIVISTICHE", a cura di Giuliana Portas, Mariantonietta Piga, Mario Antioco Sanna. Ed. Comune di Neoneli, Neoneli, 2016.

https://www.academia.edu/30486482/SANNA_M.A._LA_SARDEGNA_E_NEONELI_INQUADRAMENTO_STORICO_DEL_PERIODO_SPAGNOLO_E_PIEMONTESE_.pdf


venerdì 9 dicembre 2016

RECENSIONE DEL SAGGIO “ALLA SCOPERTA DEI SEGRETI PERDUTI DELLA SARDEGNA. ITINERARI PER SCOPRIRE NUOVI SCORCI, LEGGENDE, ANEDDOTI E TRADIZIONI” di ANTONIO MACCIONI, Newton Compton Edizioni, pg. 318, 12 euro. Il libro è disponibile anche nella versione E-book.







Antonio Maccioni, giovane scrittore originario di Scano Montiferro (OR) è laureato in filosofia e dottore di ricerca in Letterature Comparate. Ha lavorato per alcune case editrici e si è occupato di cronaca locale. Con la Newton Compton aveva già pubblicato “101 tesori nascosti della Sardegna da vedere almeno una volta nella vita”.
Ho letto con immenso piacere, in momenti di assoluto “relax” l’ultima fatica letteraria di Antonio Maccioni; il saggio è ben scritto e ha una lettura abbastanza scorrevole, che con il passare delle pagine coinvolge sempre di più il lettore. Rispetto ai testi, appare un po’ di difficile lettura l’introduzione, anche se naturalmente è ben curata ed essenziale per iniziare in maniera spedita “il viaggio nel testo”.
Nell’opera in oggetto, Antonio Maccioni, ci racconta la Sardegna in numerosi aspetti, suddividendo il testo in quattro parti: la prima parte “I segreti della natura, tra paradisi incontaminati, grotte nascoste e villaggi dimenticati”, c’introduce in un mondo fantastico tra luoghi della memoria, villaggi abbandonati, la scoperta dei bagni e della “Costa Smeralda”, il sistema “carsico” più importante d’Italia e i grifoni.
La seconda parte, “I segreti dell’archeologia, tra i riti antichi, civiltà sepolte e divinità fuori dal tempo”, ci catapulta nei numerosi misteri irrisolti dell’archeologia sarda; dai fossili, scheletri e astronauti di Lanaitho, al nuragico pop di Villagrande; i riti dell’incubazione ed il labirinto della domus de janas di Benetutti, fino al passaggio segreto sotto il castello di Bosa.
La terza parte, “I segreti della storia, tra banditi e delitti, poligoni militari e guerre silenziose”, parla dei manicomi, dei banditi, delle banditesse e della poesia; degli stereotipi sulla delinquenza sarda e di alcuni misteri che sono ancora sommersi nei mari della Sardegna.
La quarta e ultima parte, “I segreti della fede, tra santi e beati, mistici visionari, messe sataniche e angeli neri”, c’introduce nel viaggio per la scoperta delle reliquie dei santi, al satanismo, alle visioni mistiche e alle beate Antonia Mesina di Orgosolo ed Edvige Carboni di Pozzomaggiore.
Un bel libro, da leggere, soprattutto perché fa riferimento sia a fatti e vicende del passato, sia a fatti e problematiche attuali. Un bel libro da regalare a chi vorrebbe conoscere la Sardegna, al di là degli stereotipi; un bel libro, utile a fornire riflessioni e spunti a chi vorrebbe approfondire alcune tematiche sulla Sardegna.

Mario Antioco Sanna




venerdì 4 novembre 2016

Questa sera 4 novembre 2016, alle ore 19 presso la libreria Emmemì di Macomer (NU), presenterò il romanzo di Antoni Flore Motzo. Vi aspettiamo numerosi.
Recensione del romanzo “Le pietre di Leàri” di Antoni Flore Motzo ”, edizioni Arkadia, Cagliari, 2016. Antoni Flore Motzo, giovane storico e operatore linguistico e culturale di Scano Montiferro (OR), esordisce nel mondo letterario con un gradevole e scorrevole romanzo storico, ambientato nella Sardegna, non ancora totalmente romana, nelle concitate fasi successive alla battaglia di Cornus del 215 a.C. Il romanzo “Le pietre di Leàri”, è di agile lettura: personaggi, fatti, luoghi vengono descritti con un tipo di scrittura che si avvicina a quella cinematografica; i capitoli del libro (che consta in tutto di 150 pagine) sono brevi e non permettono al lettore di avvertire alcun senso di stanchezza nella lettura. La lettura del romanzo è pertanto rapida e piacevole: la storia, le vicende dei protagonisti e la descrizione dei luoghi vengono raccontati con grande precisione e sintesi. Di notevole valore l’approccio alla psiche dei personaggi, l’orografia dei luoghi e la precisione storica , seria testimonianza di un grande lavoro di ricerca approfondito e durevole. Il protagonista del romanzo è Birò, il condottiero o meglio “Giudice” della tribù degli Olèa, che vive stanziata nelle aspre alture dei Monti Ver, dove il condottiero risiede nel villaggio montano di Leàri, con l’anziana madre Sirbàna, la moglie e i tre figli; al protagonista si contrappone un romano di seconda generazione Lucio Erennio Fausto, che invece risiede nel villaggio romano di Turre, ai piedi dei Monti Ver con la bella, giovane e viziata figlia Erennia. Birò, dopo l’alleanza con altre tribù delle zona, compie alcune azioni di guerriglia contro i romani; nel corso di queste azioni, avrà modo di conoscere il giovane e valoroso guerriero Naragulé, con il quale tuttavia, avrà inizio una tacita rivalità. Le azioni di guerriglia di Birò, inizialmente coronate dal successo, porteranno ad una spietata controffensiva romana, nella quale sarà impegnato direttamente il proconsole Tiberio Sempronio Gracco, che dopo aver inizialmente incassato una dolorosa batosta, deciderà di avvalersi dei consigli di Erennio per stanare i sardi pelliti dalle loro roccaforti. La potente reazione romana, seppur coronata dal successo militare, comporterà tuttavia un prezzo molto alto di vite umane per entrambe le parti, tanto da alimentare profondi dubbi sull’effettivo valore della conquista romana della Sardegna. Le vicende storiche riportate nel romanzo, ci regalano un’ulteriore conferma, di quell’innata voglia di libertà, che i Sardi, talvolta inconsciamente, portano da sempre nel cuore.

mercoledì 6 luglio 2016

Bos torro 2.500 gràtzias....

S'Artìculu meu in subra de sa Batalla de Seddori de su 30 de làmpadas 1409lmpublicadu in su giornale in lìnea in sardu LIMBA SARDA 2.0, (http://salimbasarda.net/istoria/oe-sammentat-sa-batalla-de-seddori-su-1409-agabbat-sindipendentzia-sarda/) in sa die de su 30 de làmpadas de ocannu, est istadu letu 2.500 bortas e cumpartzidu dae belle che 600 pessones. Bos torro gràtzias mannas e lu torro a pònnere in custu giassu meu.

mercoledì 22 giugno 2016

Recensione libro "MIO FRATELLO JOHN CARTA" di Vittoria Carta

Nei primi giorni di maggio durante una notte di insonnia, mi ritrovai a leggere con immenso piacere questo libello dai colori vivaci, che racconta la storia di un ragazzo sindiese, la cui storia, per alcuni versi mi ha ricordato la canzone Gianni Morandi “C’era un ragazzo che come me…amava i Beatles e i Rolling Stones”. Durante la manifestazione “Primavera nel Marghine”, ho avuto finalmente l’onore ed il piacere di conoscere l’autrice del libro, la signora Vittoria Carta, recandomi direttamente nella “cortes” allestita per l’occasione nella propria casa di Sindia, ubicata nei pressi della piazza San Giorgio. La signora Carta, si è rivelata una simpatica e raffinata ex insegnante che mi ha accolto a casa sua con grande entusiasmo e con grande orgoglio mi ha mostrato uno dei paracaduti del fratello e una delle tute da lui disegnata, ideata e realizzata. Con grandissimo senso dell’ospitalità mi ha offerto un gustoso bicchiere di malvasia, in compagnia di una deliziosa nipote- studentessa universitaria e di un affabile amico d’infanzia del fratello.
Nel post che avevo pubblicato su Facebook in data 11 maggio avevo riportato la seguente impressione sul libro: “La lettura di un bel racconto sulla vita di un giovane sindiese-algherese- statunitense. John Carta figlio di un sindiese, dopo essere rimasto orfano approdò negli Stati Uniti, dai suoi parenti, finì in Vietnam a guidare aerei ed elicotteri per il soccorso dei soldati, dove fu anche decorato ed al rientro divenne uno spericolato paracadutista che si lanciò anche dalle Torri Gemelle. Una figura particolare, raccontato con semplicità dalla sorella Vittoria Carta, rientrata nel paese del padre per trascorrere la pensione. Non avevo potuto seguire la presentazione per vari impegni, ma ci tenevo a leggerlo. Un bel libro da leggere di getto”. Un appunto scritto di “getto” dopo una notte insonne appunto, ma che sottoscrivo anche oggi. La figura di questo ragazzo sindiese- algherese- statunitense non va dimenticata e meritoriamente la sorella e i nipoti ricordano il loro caro John (nato Giovanni).

Recensione del romanzo “LA CUSTODE DEL MIELE E DELLE API” di Cristina Caboni- ed. Garzanti

Domenica scorsa a Bortigali (NU) su invito dell’Amministrazione Comunale, nell’ambito della manifestazione “Primavera nel Marghine”, insieme a Roberto Putzolu e all’autrice ho avuto l’onore di presentare questo bellissimo romanzo di Cristina Caboni. Alla presentazione è seguita una degustazione del miele e della birra al miele, che abbinata al formaggio locale hanno avuto un ottimo riscontro di gradimento. Cristina Caboni è un apicultrice che vive con la propria famiglia nella provincia di Cagliari, dove esercita il proprio lavoro. “La custode del miele e delle api” edito dalla Garzanti, è il suo secondo romanzo dopo il grande successo del “Sentiero dei profumi”. Il romanzo “La custode del miele e delle api” è una bella storia d’amore universale condensata in oltre 300 pagine: ogni capitolo viene introdotto da un differente tipo di miele con un’accurata descrizione delle qualità dello stesso. Alla fine del libro è presente anche un interessante glossario.
Il romanzo presenta una scrittura molto piacevole e descrittiva, si tratta di un libro che impegna molto i sensi: vengono descritti infatti odori, colori, gusti, oggetti, canto. La protagonista del romanzo è Angelica, una giovane donna molto indipendente che gira l’Europa in camper per aiutare con le proprie competenze gli apicoltori di tutto il continente; è una donna che sembra felice; divide i propri spazi con i suoi piccoli animali da compagnia. Improvvisamente a causa di un’eredità deve ritornare nel suo paesello d’origine in Sardegna, che aveva lasciato da bambina; qui aveva trascorso l’infanzia con la zia materna Margherita Senes “Jaja”, una donna che nella sua vasta casa, permetteva a tante donne di poter svolgere dei lavori artigianali. La caratteristica principale di Jaja era quella di essere una bravissima apicultrice che cantava alle proprie api. Il rientro nel paesello di Abbadulche, è per Angelica la riscoperta della propria infanzia, con tutti i profumi, i suoni e le emozioni della propria infanzia, ma non sarà facile; alcuni parenti non hanno preso per niente bene, la notizia che Jaja abbia scelto come erede universale la giovane nipote, escludendo gli altri parenti dalla sostanziosa eredità comprendente casa, terreni e api. L’ambientamento di Angelica ad Abbadulche comunque prosegue a tal punto, che la protagonista decide di non andar più via dal paese, la protagonista oltre alle proprie radici e ad un gruppo di amiche ha anche ritrovato dopo tanti anni Nicola il suo primo amore. Ma Nicola con il fratello Claudio, fanno parte di una società immobiliare che vorrebbe costruire proprio ad Abbadulche un villaggio turistico che darebbe sviluppo e lavoro ai giovani del paese… Il romanzo tratta dunque tematiche di notevole interesse: l’emancipazione femminile in Sardegna, il rispetto per l’ambiente e per le persone, la riscoperta delle tradizioni e la riscoperta dei gusti, saperi e sapori della Sardegna. Un libro che dovrebbe essere letto da ogni sardo e che nei prossimi giorni sarà pubblicato in Germania.

domenica 12 giugno 2016

UNA PRESENTAZIONE “UN PO’ STRANA”

Appunti sulla presentazione del libro “Zia, lo sai che sei un po’ strana” di Patrizia Ciccani Nella mia “carriera” di relatore, peraltro non lunghissima non mi era mai capitato di presentare un romanzo, un saggio o un qualunque altro lavoro letterario che affrontasse il difficile tema della disabilità: per questo motivo prima di accettare l’invito degli amici e delle amiche dell’associazione “S’olmina e s’Alte” di Magomadas (OR) sono stato un po’ dubbioso. Il presidente dell’associazione Pietro Tilocca, grande lettore e amico mi ha convinto a partecipare come relatore, lanciandomi la sfida: e alle sfide, nonostante tutto, non riesco ancora a dire di no! Premetto di non amare in particolar modo i “tuttologi”, ovvero coloro che pensano di essere “preparati” o “esperti” in qualunque disciplina: non è assolutamente sufficiente aver conseguito una laurea o aver letto una montagna di libri per essere automaticamente competenti in qualunque settore o disciplina! Premetto che ritengo di non aver forse, la giusta “sensibilità”, per affrontare delle tematiche così difficili. Pertanto ho preferito affrontare questa “nuova sfida”, con un profilo molto basso: prima di tutto leggendo il libro, che è un bel volumetto con la copertina arancione, composta da circa 200 pagine di contenuti e aneddoti raccontati con un linguaggio semplice ed essenziale, che fanno intuire la formazione “classica” dell’autrice (che infatti è laureata in lettere classiche con una tesi in paleografia). Chiaramente nel libro- autobiografia, ho ritrovato molto della città di Roma che ho conosciuto e frequentato negli anni ’90: dalle borgate al centro; ma non solo; a Roma abitava una mia cugina disabile (che oggi purtroppo, non c’è più) che aveva dei grossi problemi fisici, ma che comunque manifestava sempre una sorprendente solarità che ho ritrovato nell'autrice; nel libro e in Patrizia Ciccani ho anche rivisto in parte, le difficoltà pregiudiziali affrontate da una delle mie sorelle, che con il suo carattere caparbio e testardo (caratteristiche in possesso anche dell’autrice) ha comunque realizzato i propri sogni e le proprie aspirazioni professionali.
Per il forte impatto emotivo, pertanto presentare questo libro mi è risultato molto arduo: è difficile descrivere un testo simile, senza rischiare di cadere nel patetico e senza inciampare nel pathos che la lettura od il coinvolgimento emotivo del libro possono causare. Per questi motivi, da quasi profano di didattica e pedagogia speciale ho affrontato la sfida con poche parole; credo che più che le parole questa volta possano fare molto di più la forte presenza dell’autrice, che ha comunque trovato in Pietro Tilocca, una valida spalla, capace con la stessa ironia dell’autrice di trovare le giuste parole, per raccontare quest’opera romanzata e autobiografica. Ho trovato molto brave e coinvolgenti le lettrici dell’associazione “Sofia” che hanno letto alcuni dei brani più rappresentativi del libro; mi è piaciuta tantissimo l’altra relatrice Roberta Lollobrigida, sia per la semplicità del suo intervento, sia per la simpatica umanità che ha saputo trasmettere. Perfetta l’organizzazione logistica dei ragazzi e delle ragazze dell’associazione “S’olmina ‘e s’Alte” che hanno organizzato l’evento.

sabato 4 giugno 2016

Recensione del libro “Zia, lo sai che sei un po’ strana?!” di Patrizia Ciccani, Charleston USA, 2016.

Di Mario A. Sanna
Patrizia Ciccani, nata a Roma nel 1962, ha conseguito il dottorato di ricerca in Pedagogia presso l’Università Roma Tre; afflitta fin dalla nascita di tetraparesi spastica, l’autrice si era già distinta in ambito scientifico per due precedenti pregevoli pubblicazioni dalle tematiche innovative: pubblicando nel 2001 “Il girotondo di Anpamaro. Familiarizzare con la diversità” (Armando Editore); un testo collegato all'esperienza svolta dall'autrice nell'ambito del Progetto Girotondo, che prevedeva un intervento educativo condotto da persone disabili nelle scuole di base per identificare i fattori che influenzano l'accettazione dei bambini disabili da parte dei compagni e per prevenire e ridurre pregiudizi e stereotipi.
Sempre con lo stesso editore nel 2009, l’autrice aveva pubblicato il saggio educativo “Pregiudizi e disabilità. Individuazione di strategie educative per l’elaborazione e il superamento del pregiudizio”, un testo che offre un significativo contributo alla ricerca pedagogica e didattica speciale, scritto successivamente al laboratorio di “Disabilità e counseling educativo”, svolto con la collaborazione degli studenti frequentanti il corso di Pedagogia Speciale.
Con il libro “Zia, lo sai che sei un po’ strana?!”, Patrizia Ciccani lascia la saggistica scientifica e filo- accademica, per addentrarsi in un racconto dal forte sapore autobiografico, dove con un linguaggio semplice e asciutto, racconta alcune delle fasi della sua esistenza: dall’infanzia alle prime esperienze scolastiche, dal diploma ai primi viaggi svolti in autonomia; dall’esperienza universitaria come studente alle prime esperienze lavorative, dall’esperienza di ricerca e di sperimentazione presso l’università alle nuove sfide ancora in atto; senza tralasciare altri momenti di crescita e confronto con la narrazione di alcune difficoltà pratiche, dell’importanza dell’amicizia, della famiglia, l’amore e la nuova dimensione di “zia”. Il libro “Zia, lo sai che sei un po’ strana?!”, racconta dunque con una narrazione di tipo scorrevole, le difficoltà quotidiana che una giovane disabile, deve quotidianamente affrontare, in ambito pratico ma soprattutto mentale: con la consapevolezza della propria diversità e della capacità del farsi accettare dagli altri, cercando e trovando, come nel caso dell’autrice, di vivere una vita “normale”. Perché se è vero che un disabile, portatore di un handicap “fisico”, non può fare proprio tutto quello che fisicamente possono fare i normodotati, è anche vero che un giusto atteggiamento psicologico e con il giusto sostegno della famiglia e degli amici, lo stesso disabile può permettersi comunque di affrontare le difficoltà della vita. Si ricorda, che il libro sarà presentato a Magomadas (OR), a cura dell'Associazione "S'Olmina'e S'Alte" in data 11/06/2016, alle ore 18.00 presso il piazzale “Binza ‘e cresia” in via della Pace. Per info: https://www.facebook.com/events/1726678984213215/

giovedì 5 maggio 2016

Perché l’Arcangelo Gabriele non deve più volar via dal paese di Sagama.

Sagama è un piccolo centro della regione storica della Planargia; conta 196 abitanti ed una superficie comunale di 11, 72 Kmq, un bar, un negozio di alimentari riaperto recentemente, e l’ufficio postale aperto per due giorni alla settimana. Eppure fino a qualche decennio fa, a Sagama c’erano le scuole elementari, lo sportello bancario e addirittura la locale stazione dei carabinieri; ora anche il giovane parroco don Antonello, si divide tra la comunità di Scano e quella di Sagama.
Sagama è un paese antichissimo, posto sopra un gradino calcareo, quasi a dominare la splendida vallata denominata Badde ‘e Sagama; il paese è sorto in epoca nuragica intorno ad un santuario nuragico, come testimoniato dai ben 4 nuraghi che tuttora, ne controllano gli accessi: nuraghe Funtanedda e Muristene ad ovest nelle immediate vicinanze della chiesa- santuario- parrocchiale di San Gabriele; nuraghe Molineddu ad est e nuraghe Mura de Canes a nord- est. Se non bastasse, a controllare la fertile vallata della Badde ‘e Sagama, troviamo il nuraghe Sos Passialzos (o Pascialzos) insieme a quelli di Su Nuratolu e Giannas e l’insediamento di Mura Pianu. La chiesa parrocchiale di San Gabriele le cui forme attuali risalgono ai primi anni del 1600, ma il cui primo edificio originario è antichissimo e visibile nei sotterranei della chiesa, è una chiesa- museo: oltre all'antichissima statua di San Gabriele, risalente al XIII secolo, custodisce una serie di quadri- altari di notevole importanza.
Fino alla prima guerra mondiale, la festa dell’Arcangelo Gabriele (detto anche S’Anzelu), era una delle sagre- fiere più importanti, non soltanto della Planargia, ma di tutto il circondario: un vero villaggio religioso, con tanto di recinto con un ingresso munito di arco davanti alla chiesa. Poi arrivò il primo conflitto mondiale: i lutti, l’emigrazione e la poca voglia di festeggiare; intanto la chiesa cadeva in rovina, le mura del recinto e l’arco furono abbattuti per far passare le vetture e gli autobus nel nuovo corso Vittorio Emauele, il piccolo cimitero adiacente si riempiva di morti e ne fu costruito uno nuovo fuori dal paese; poi durante l’epoca fascista, il paese perdeva pure la propria autonomia, diventando insieme ai vicini centri di Tinnura e Flussio una frazione del Comune di Suni. Negli anni ’60 dopo un periodo tormentato della storia sagamese, qualcuno decise che quell'Arcangelo ligneo, in grave stato di degrado, che si trovava dentro una malsana chiesa, dovesse essere protetto e magari restaurato:e dunque l’Arcangelo Gabriele fu fatto volar via da Sagama, per finire nel palazzo vescovile di Bosa e poi a Sassari per il restauro. La chiesa parrocchiale venne quasi abbandonata, come le altre chiesette del paese: la Madonna del Carmine e Santa Croce; altre chiese come quella di San Basilio (presso l’attuale edificio comunale) erano già scomparse, mentre quella campestre di San Michele ai confini con Scano Montiferro era ridotta allo stato di poco più di un rudere. Nel frattempo per consolare un po’ i sagamesi, la strada principale venne asfaltata ed il progresso sembrava spazzare via, tutto quello che c'era di antico.
Poi alla fine degli anni ’80 qualcosa iniziò a muoversi: vennero restaurate la chiesa del Carmine e quella di San Michele venne ricostruita ex novo (cancellando, purtroppo per sempre i pochi ruderi di quella antica), alla fine degli anni ’90 vennero restaurate sia la chiesa parrocchiale di San Gabriele che venne riportata all'antico splendore, sia l’oratorio di Santa Croce. Nei primi anni del nuovo millennio, finalmente restaurata, scortata e custodita dentro una teca particolare, alla presenza di importanti autorità civili, religiose e militari, fece rientro in paese la statua dell’Arcangelo Gabriele: fu probabilmente uno dei momenti più belli della comunità sagamese degli ultimi 100 anni: dopo anni di abbandono, il paese sentì arrivare una nuova “linfa” con il rientro del proprio “protettore” nel paese; con orgoglio mi piace pensare che in quel bellissimo giorno, c’ero pure io tra i miei compaesani! Mi piace pure ricordare di quel giorno, la forte emozione di mio padre, che avendo trascorso nel paese di sua madre i suoi primi sei anni di vita, mi ricordava sempre la nonna particolarmente devota all'Arcangelo. Dopo una decina d’anni, il paese di Sagama sta affrontando nuovamente un periodo non certo facile, della sua vita comunitaria: il rischio di spopolamento è sempre più alto, nonostante un discreto numero di nascite, la chiesa tuttavia viene mantenuta pulita ed in ordine da un volenteroso gruppo di giovani e meno giovani donne, che a titolo gratuito, curano la chiesa e l’aprono qualora qualche gruppo, comunichi con qualche giorno d’anticipo l’intenzione di visitare la chiesa-museo.
Ma un giorno di primavera del 2016, accade che l’Arcivescovo di Oristano, Mons. Ignazio Sanna in occasione della mostra- inaugurazione di una nuova ala del museo diocesano, pensi che quel prezioso simulacro ligneo del XIII secolo, che si trova in quello sperduto paese della Planargia, possa ricongiungersi, con una bella statua della Madonna dell’Annunziata (pure questa proveniente da Sagama) nella Mostra per l’inaugurazione di un’ala del Museo Diocesano che si terrà dal 6 maggio al 22 giugno 2016 ad Oristano. L’idea di fondo è buona: permetterebbe a molti sardi e non solo, che ignorano il prezioso simulacro di conoscerlo e di conoscere, seppur in maniera indiretta il paese di Sagama e di ammirare un’opera d’arte d’immenso valore storico. Tuttavia non sono garbati i modi e tanto meno adeguati appaiono i sistemi: se si vuol chiedere un oggetto "in prestito" da qualcuno prima di tutto si va a cercare il padrone dell'oggetto; poi, prima di entrare nella casa dello stesso, si dovrebbe chiedere "permesso" e solo dopo aver ricevuto risposta affermativa si dovrebbe entrare, in caso contrario sarebbe una "violazione di domicilio"; soltanto a quel punto sarebbe lecito richiedere un oggetto "in prestito", sempre ipotizzando però che sia nel diritto del padrone di casa darti una risposta negativa: fa parte del gioco! Ma se tu, oltre a non bussare, vai di nascosto negli uffici preposti e ti prepari i documenti per un prelievo "coatto", che in pratica obbliga il padrone di casa a prestarti qualcosa contro la propria volontà, stai commettendo seppur nei termini di legge, un gesto di violenza nei confronti del padrone di casa; se poi l’avvisi del "prelievo forzato" appena tre giorni prima, forse, alla violenza ed alla cattiveria, stai pure aggiungendo un po’ di arroganza, presunzione e malafede. Domenica 1 maggio durante la Santa Messa, la chiesa di Sagama ha meno presenze del solito; nel paese vivono molte persone anziane che soltanto raramente si recano in chiesa per via delle loro precarie condizioni di salute; molte delle giovani coppie che frequentano abitualmente la parrocchia, approfittando del bel tempo e della giornata festiva, sono andate a farsi una gita fuori porta: don Antonello comunica così alle poche persone presenti alla funzione, che mercoledì 4 maggio (appena 3 giorni dopo), il prezioso simulacro, partirà per un mese ad Oristano, in quanto richiesto dall'Arcivescovo di Oristano al Vescovo della diocesi di Alghero- Bosa e che quindi chi volesse, potrà “salutare” il prezioso simulacro. Le poche persone presenti riferiscono agli altri sagamesi che restano sbigottiti: chiedono lumi all'Amministrazione Comunale, la quale non può rispondere altro, se non di non aver ricevuto nessuna comunicazione ufficiale. Ieri mattina 4 maggio alle 9.30 arriva a Sagama un camion privo di scritte con due operai; nessuna scorta, nessun carabiniere del nucleo tutela per i beni culturali: il sindaco è in prima linea con i sagamesi a cercare di capire cosa stia succedendo.
Arrivano don Antonello e poi don Paolo Secchi, responsabile dei Beni Culturali della diocesi di Alghero- Bosa, che pacatamente spiega che è tutto regolare, ma sottolinea anche con fermezza, che la decisione non sia stata comunque la sua e che la sua intenzione è quella di cercare di risolvere in maniera pacifica la questione, cercando una soluzione che possa soddisfare tutti. Durante la discussione, all'interno della chiesa, il clima è di sereno confronto, ma non mancano tuttavia seppur in maniera sempre civile, educata e costruttiva dei momenti di frizione: il sindaco Giovanni Antonio Cuccui, ribadisce a chiare lettere, che in considerazione dei “trascorsi” e delle ingenti spese affrontate dall'Amministrazione Comunale per riportare il simulacro in questione e per rispetto della volontà popolare, il simulacro di San Gabriele non si muoverà dal suo sito originale. Arriva il tecnico che con gli operai inizia a studiare come “smontare” la teca e trasportare il simulacro ad Oristano, ma don Paolo tranquilla tutti: visto che la popolazione non è d’accordo, la traslazione verrà sospesa e lui si farà portavoce delle istanze della comunità sagamese al vescovo di Alghero- Bosa Padre Mauro Maria Morfino.
Il clima si distende ed inizia un confronto, dal quale tuttavia emerge chiaramente che l’Amministrazione Comunale e la maggior parte dei sagamesi presenti, salvo poche e legittime divergenze, siano contrari nella maniera più assoluta alla traslazione seppur provvisoria del simulacro ad Oristano, anche in presenza di ulteriori garanzie sul trasporto, sulla custodia e sul rientro del simulacro. Da storico e da sagamese, anche il sottoscritto ha partecipato all'incontro di ieri, ribadendo anche in maniera un po’ forte, la propria contrarietà allo spostamento della statua: si parla tanto di reti museali e “musei virtuali”, allora perché non portare ad Oristano un ritratto o una copia del simulacro? La statua di San Gabriele, è posta in una costosa e delicata teca che ne mantiene inalterata la temperatura, ha un immenso valore non solo economico e storico, che senso avrebbe allora a parte tutti i rischi del caso in un trasloco seppur temporaneo, rimuoverla dal suo sito? Il simulacro inoltre ha un valore ancora più importante: per ogni sagamese è il simbolo della propria identità! Forse sarà anche per questo, che mentre Amministratori e popolazione discutevano con don Paolo e don Antonello, due vivaci rondini sono entrate all'interno delle chiesa e hanno iniziato a volare sul simulacro dell’Arcangelo Gabriele non uscendo però dalla chiesa: l'impressione dei presenti è stata quella che tramite quelle due rondini, lo stesso Arcangelo abbia voluto far capire, di non volere più volare fuori dalla propria casa. Un messaggio subliminale dell'Arcangelo per indicare ai delegati dell’Arcivescovo di Oristano ed al Vescovo di Alghero- Bosa, che San Gabriele vuole e deve restare a casa sua: a Sagama tra i Sagamesi! Mario Antioco Sanna * *Storico

mercoledì 27 aprile 2016

Cunferèntzia Progetu SA BATALLA DE MACUMERE- PÌNDULAS DE ISTÒRIA, in Biblioteca Comunale de Macumere, chenàbura 29 de abrile 2016 a sas oras 6 de sero.

Chenàbura 29 de abrile 2016, a sas oras 6 de sero in sa Biblioteca Comunale de Macumere, apo a fàghere una cunferèntzia “Sa batalla de Macumere- Pìndulas de Istòria” ; at a èssere s’ocasione pro contare custu progetu ammaniadu dae mene cun s’agiudu mannu de s’Amministratzione Comunale de Macumere- Assessoradu a sa Cultura e s’Istrutzione Pùblica, chi l’at crèfidu pònnere in intre de sas manifestatziones propedeùticas a sa de XV Mustra de su Libru in Sardigna chi s’at a fàghere in Macumere dae su 19 a su 22 de maju 2016.
Su progetu , sighinde un'àndala incumentzada in su 2013 cun sa publicatzione de unu libreddu, previdit una serie de addòvios cun sos iscolanos de sas iscolas primàrias de Macumere, a manera particulare sas classes 4a e 5a, ma a sa fine, at aderidu puru carchi classe de sas 3a.
Est agredèssidu meda a sos pitzinnos e a sas pitzinnas, su contu de “Sa Batalla de Macumere” contadu a manera dereta dae Linardu de Alagon- Cubeddu, s’ùrtimu marchesu de Aristanis, chi at contadu sa gerèntzias sua dae sos giughes de su Regnu d’Arbarèe, su coju non fatu intre sa fìgia sua Lianora e Dalmàtziu, su fìgiu malu de su vitzerè Nigola de Carroz.
Est agrèssidu a sos pitzinnos e a sas pitzinnas, bìdere sos giassos de sa batalla: Campu Castigadu, S’Erbagusa, Bonudrau, su Nuraghe sa Corte, Sa Rocchita o sa Presone ‘Etza, S’Adde, Meriaga etz.
Chenàbura in s’addòviu pro sos mannos amos a bìdere mègius personagios, giassos e fatos de custa batalla, pro sa cale, a dolu mannu, in Macumere, non est istada posta mai, mancu una pedra manna pro l’ammentare. Pro como chèrgio torrare gràtzias mannas a s’Amministratzione Comunale- Assessoradu a sa Cultura chi m’ant dadu sa possibilitade de fàghere custu progetu, a sa Biblioteca Comunale pro s’ospitalitade, a sos dirigentes, a sas mastras e a sas iscolanos e a sas iscolas chi m’ant intesu in sos addòvios cun passèntzia e disponibilidade manna. Torro gràtzias mannas a Giùliu Ledda chi at fatu sas mazines de sa batalla, de Nigola e Dalmatziu de Carroz e de Liànora de Alagon e a Anna Gemino de sa Biblioteca Comunale chi at progetadu sa gràfica de su libreddu de su 2013. Bos aiseto chenàbura….e chie non cheret…crepet!

martedì 22 marzo 2016

Recensione del romanzo storico "Le pietre di Leàri" di Antoni Flore Motzo

Recensione del romanzo “Le pietre di Leàri” di Antoni Flore Motzo ”, edizioni Arkadia, Cagliari, 2016. Antoni Flore Motzo, giovane storico e operatore linguistico e culturale di Scano Montiferro (OR), esordisce nel mondo letterario con un gradevole e scorrevole romanzo storico, ambientato nella Sardegna, non ancora totalmente romana, nelle concitate fasi successive alla battaglia di Cornus del 215 a.C. Il romanzo “Le pietre di Leàri”, è di agile lettura: personaggi, fatti, luoghi vengono descritti con una scrittura che si avvicina a quella cinematografica; i capitoli del libro, che consta in tutto di 150 pagine, sono abbastanza brevi e non permettono al lettore di avvertire alcun senso di stanchezza letteraria; i capitoli del romanzo, scorrono piacevolmente veloci, ma tutto viene raccontato con grande precisione e sintesi: la psiche dei personaggi, l’orografia dei luoghi e con una precisione storica che è testimonianza di un serio lavoro di ricerca storica, svolta negli anni. Il personaggio principale del romanzo è Birò, condottiero o meglio “Giudice” della tribù degli Olèa, che stanziata nelle aspre alture dei Monti Ver, dove il condottiero vive nel villaggio montano di Leàri, con l’anziana madre Sirbàna, la moglie e i tre figli; a lui si contrappone un romano di seconda generazione Lucio Erennio Fausto che vive nel villaggio romano di Turre, ai piedi dei Monti Ver con la viziata figlia Erennia. Birò dopo l’alleanza con altre tribù delle zona, compie alcune azioni di guerriglia contro i romani; nel corso di queste azioni, avrà modo di conoscere il giovane e valoroso guerriero Naragulé, con il quale tuttavia, avrà inizio una tacita rivalità. Le azioni di guerriglia di Birò, coronate dal successo, porteranno alla controffensiva romana, nella quale sarà impegnato direttamente il proconsole Tiberio Sempronio Gracco, che dopo aver incassato una dolorosa batosta, deciderà di avvalersi dei consigli di Erennio, per stanare i sardi pelliti, dalle loro roccaforti. La potente reazione romana, sarà coronata dal successo militare, ma con un prezzo molto alto di vite umane per entrambe le parti, tanto da alimentare profondi dubbi sull’effettivo valore della conquista romana della Sardegna; le vicende storiche riportate nel romanzo, saranno la conferma mai smentita, di quell’innata voglia di libertà, che i sardi, talvolta inconsciamente, portano da sempre nel cuore. Mario Antioco Sanna* *Storico

lunedì 14 marzo 2016

Progetu "Pìndulas de Istòria- Sa Batalla de Macumere"

Dae cras, 15 de martzu 2016. gràtzias a su progetu "Pìndulas de Istòria- Sa Batalla de Macumere", sustènnidu e postu dae banda de s'Amministratzione Comunale de Macumere, in intre de sas atividades propedeùticas de sa Mustra de su Libru 2016, Lìnardu de Alagon- Cubeddu, ùrtimu Marchesu de Aristanis, at a contare a sos pitzinnos e pitzinnas de sas iscolas primàrias de Macumere, su contu de sa batalla de su 19 de maju 1478, intre de a issu e de su Vitzerè Nigola de Carroz, in sas giassos nados Campu Castigadu- Tòssilo, Bonutrau e Mèriaga. Sas mazines sunt de Giulio Ledda. Su contu est istadu publicadu in unu libreddu de s'Amministratzione Comunale e in sa revista Logosardigna n.56 de su 2013.
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lunedì 15 febbraio 2016

I GAROFANI DI TZIU DOMINIGHEDDU

Talvolta capita che durante il pranzo, che solitamente viene consumato con la tv spenta, mia madre, ispirata da quali motivi, inizi a raccontare gustosi fatti e vicende della sua famiglia e del suo paese (Villamar). Di solito mi piace annotare i suoi ricordi ed i nomi in un quadernetto, ma i protagonisti della storia di oggi, sono troppo gentili per non essere ricordati pubblicamente in un mondo, come quello di oggi, dove abbonda la miseria umana. Il racconto allora è il seguente: mio nonno materno, Giuannicu Mura, che era rimasto orfano fin da bambino prima del padre e poi della madre, aveva conosciuto da sempre, una coppia di “servi” o meglio di fedeli collaboratori che si chiamavano tziu Dominigheddu e tzia Dominighedda. Lui era un ottimo contadino e lei aiutava inizialmente mia bisnonna e successivamente, alla precoce morte di quest’ultima, aveva gestito la casa di famiglia aiutando le sorelle di mio nonno che erano adolescenti.
Tziu Dominigheddu e tzia Dominighedda, vivevano in una piccola casa, con un piccolo cortile, nel quartiere di San Giuseppe a Villamar: non avevano avuto figli e così continuarono malgrado una salute malferma e l’età avanzata e non usufruendo di nessuna pensione, a lavorare fino alla loro morte (avvenuta per entrambi, a breve distanza temporale) nel limite delle loro possibilità, presso la famiglia di mio nonno. Un mio parente “malvagio” di cui non pubblico il nome, quotidianamente, ricordava a mio nonno, che ormai quei due vecchietti, seppur simpatici, erano dei “rami secchi” da tagliare, in quanto ormai “improduttivi” e ne chiedeva pertanto in maniera ossessiva “il licenziamento”: ma nonno Giuannicu, sorridendo, rispondeva sempre che era ingiusto “gettare” chi nella vita ti aveva sempre dimostrato devozione, rispetto e lealtà nel lavoro.
Tziu Dominigheddu era una brava persona, dotata di una rara educazione e sensibilità ed era molto gentile: ogni giorno prima di iniziare la sua dura giornata di lavoro nei campi, portava delle rose o dei garofani che prendeva dal suo roseto e le consegnava a mia nonna che lui con rispetto chiamava “donna” Lauretta o a mia madre che chiamava “signorina” Maria Luigia. Tzia Dominighedda, invece trascorse gli ultimi anni della sua vita, svolgendo soprattutto la funzione di “istruttrice” per le giovani “collaboratrici” della famiglia. Oggi gli anziani, secondo mia madre, stanno molto peggio di allora, soprattutto se non hanno una pensione: vengono abbandonati da tutti. La riconoscenza non è di questo mondo, che sfrutta tutto e tutti.